Auschwitz: gli oggetti urlano

Scritto da Costanza Baldini il January 29, 2013.

Sveglia alle 5.45 ma siamo tutti di buon umore perché stamattina non nevica e c’è una specie di sole. All’alba la distesa infinita di neve rosa all’orizzonte ricorda frammenti di cinema. Sono contenta perché riesco a stare all’aperto senza guanti e posso prendere appunti con facilità perché non c’è la neve che scende sul foglio e sbava l’inchiostro.

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Il campo di Auschwitz è molto diverso da Birkenau, molto più piccolo, sembra solo apparentemente meno terribile. I dormitori sono in muratura perché era una ex caserma riadattata inizialmente per i prigionieri polacchi (politici e intellettuali) e solo dopo riorganizzata per accogliere ebrei da tutta europa.

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La caratteristica peculiare di Auschwitz è che qui si conservano le montagne di oggetti appartenute ai deportati: valigie (ne ho notata una con scritto “Hotel Helvetia Bristol Firenze”), spazzole, scodelle, scarpe, capelli. Di fronte a questi oggetti ancora una volta non ce la fai a sdrammatizzare, semplicemente vorresti ignorarli ma non puoi. Camminiamo per il museo senza parlarci, facciamo fatica anche a guardarci negli occhi. Lo sguardo vaga e non sa dove posarsi. Arriviamo all’una stanchi morti, spossati.

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Una storia interessante è quella delle sette foto. Capitò che uno dei deportati trovò per caso una macchina fotografica con ancora sette scatti disponibili. Mi immagino la lucidità di questa persona che fotografò le donne che si spogliavano prima di essere gassate e poi il fumo che usciva dai crematori. Grazie alla resistenza il rullino è sopravvissuto. I sette scatti sono giunti fino a noi.

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Alla fine entriamo nella stanza dove gassavano le persone. Il simbolo di Auschwitz è questo un buco nel muro corroso dallo Zyklon B. Il direttore del campo Rudolf Hoess dopo i primi esperimenti con il gas comunicò a Hitler che “Avevano risolto il problema degli ebrei”.

Ma alla fine qual è il messaggio?  Il messaggio è questo i nazisti non erano mostri, non erano alieni, non erano neanche pazzi, erano esseri umani. Per cui dubitate sempre, non vi fidate di chi dice di possedere la verità. Ma soprattutto DISOBBEDITE.

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Diciamo la verità io non ci credevo quando mi dicevano che è un’esperienza che ti cambia la vita. Siamo stati esposti tutti a uno stress psicologico in questi giorni. La commozione non è arrivata subito. E’ come un qualcosa che ti scatta dentro ma te ne accorgi solo dopo. Una volta in autobus o la sera davanti al computer. Ti accorgi che ci stai ancora pensando, che non stai bene.

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Trovarmi in una situazione come questa lontano da casa, immersa in un freddo a tratti insopportabile, in mezzo all’orrore paradossalmente mi ha fatto tornare in mente quasi inconsciamente le persone che amo di più. Nei momenti di riposo immagini luminose e coloratissime della mia famiglia e dei miei amici riaffiorano da sole nel mio cervello. Mi addormento pensando a quando riabbraccerò il mio cane. Ho bisogno di calore.

*Un ringraziamento speciale a Umberto Maria Giardini di cui in questi giorni ho ascoltato “Ingrediente novus” e “La dieta dell’Imperatrice”. La dolcezza della sua voce è stato l’antidoto che mi ha permesso di sopportare tutto lo schifo che avevo intorno.

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