Andra e Tatiana Bucci: una storia “incredibile”

Scritto da Costanza Baldini il January 21, 2013.

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Per preparami al viaggio del Treno della Memoria sto leggendo alcune testimonianze scritte dai sopravvissuti che incontreremo durante il nostro viaggio. Una delle storie più incredibili e “celebri” è quella delle sorelline toscane Andra e Tatiana Bucci. Ho già in mente tante domande che vorrei fare. Voi cosa vorreste chiedergli?

Figlie di Giovanni Bucci fiumano cattolico, e di madre ebrea Mira, la cui famiglia , originaria della bielorussia,, approdò a nella città di fiume per mettersi in salvo dai pogrom zaristi dei primi del novecento.
Nel marzo del 1944 , Andra e Tatiana , rispettivamente all’età di 4 e 6 anni,dopo aver sostato per due giorni alla Risiera di San sabba, sono deportate ad Auschwitz insieme al cugino Sergio De Simone di 6 anni.
Miracolosamente scampate alla crudele selezione di Auschwitz ( che aveva visto sopravvivere poco meno di una cinquantina di bambini su oltre 200 mila che vi erano stati deportati) vengono liberate il 27 gennaio 1945, il giorno della liberazione del campo di Auschwitz.
Il cuginetto Sergio, invece, prelevato dal Lager insieme ad altri bambini su autorizzazione di Himmmler, viene usato come cavia in orribili esperimenti e poi assassinato nei sotterranei di una scuola di Amburgo.
Dopo la liberazione, Andrea e Tatiana, che assai presto avevano persi contatti con la mamma nel periodo della permanenza al campo, furono condotte in un orfanotrofio vicino a Praga, dove restarono fino al Marzo del 1946.
Da quel momento fino al Dicembre 2006, le sorelle furono ospitate di un orfanotrofio inglese, il Weir Courrteney Hostel a Lingfield , nel Surrey.
Intanto, anche grazie al tenace impegno dei genitori e del comitato per i rifugiati ebrei di Londra insieme alla Croce Rossa Internazionale, si riuscì a rintracciare la storia personale e familiare partendo dall’esile indizio dei numeri tatuati ad Auschwitz . La madre li aveva tenuti a mente con amorevole disperazione perché “un giorno” diceva a se stessa “ io porteranno a riavere le mie bambine”.

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Qui potete leggere la loro testimonianza diretta:

28 Marzo 1944. Quella sera i tedeschi entrarono in casa, insieme al delatore che, per soldi, aveva fatto il nome della nostra famiglia. Noi bambini eravamo a letto. La mamma ci svegliò e ci vestì. Vedemmo la nonna in ginocchio, davanti ai soldati. Li pregava di risparmiare almeno noi. Ci caricarono sul carro bestiame, tutti ammassati – raccontano -. Arrivati a Birkenau ci divisero in due file. La nonna e la zia vennero sistemate sull’altro lato, quello dei prigionieri destinati alla camera a gas. Ci portarono nella sauna, ci spogliarono, ci rivestirono con i loro abiti e ci marchiarono con un numero sull’avambraccio. Ci trasferirono nella baracca dei bambini e lì cominciò la nostra nuova vita nel campo. Giocavamo con la neve e con i sassi, mentre i grandi andavano a lavorare. Quando poteva, di nascosto, la mamma veniva a trovarci ricordandoci sempre i nostri nomi. Questa intuizione geniale ci fu di grande aiuto al momento della liberazione, molti non sapevano più il proprio nome. Un giorno la mamma non venne più e pensammo che fosse morta, ma non provammo dolore, la vita del campo ci aveva sottratto un pezzo d’infanzia, ma ci aveva dato la forza per sopravvivere. Ogni giorno vedevamo cumuli di morti nudi e bianchi. La donna che si occupava del nostro blocco con noi era gentile. Un giorno ci prese da parte e ci disse: “fra poco vi raduneranno e vi ordineranno: chi vuole rivedere sua mamma faccia un passo avanti… voi non vi muovete. Spiegammo a nostro cugino Sergio di fare la stessa cosa, ma lui non ci ascoltò. Da allora non lo rivedemmo mai più. L’ ultimo ricordo di nostro cugino è il suo sorriso mentre ci salutava dal camion che lo portava via insieme agli altri 19 bambini, desiderosi di rivedere la mamma.

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